Prima o poi, doveva succedere. Voglio dire, che mi capitasse di andare a vedere un film per cui, a conti fatti, non valeva troppo la pena di scomodarsi. Non brutto-brutto, intendiamoci. Non un film di cui vergognarsi, tanto da farlo concorrere al poco attraente riconoscimento del " peggior film dell'anno ". Ma, certo, piuttosto deludente, ingannevole nell'assunto e traditore nel modo di sviluppare quest'ultimo. Due colpe non lievi, comunque e che un film - come qualunque opera dell'ingegno o semplice prodotto commerciale - non dovrebbe mai avere. E vedremo perchè, nell' esempio concreto che sto per fare. Parlo del film di un regista danese, alla sua prima prova nel lungometraggio, tale Gustav Moller (pronunciare moeller, visto che non ho trovato per segnalarlo i due puntini da sistemare, come in tedesco, sulla o ) e dal titolo abbastanza anodino di " Il colpevole ", credo anche nella versione originale. Un film girato nel 2017 e presentato con un certo successo, l'anno seguente, al " Sundance Festival ", la rassegna cinematografica destinata ad un pubblico giovanile che si tiene negli Stati Uniti. Anzi lì vinse il premio del pubblico e questo successo ne ha propiziato una carriera , oltre che negli USA, in diversi paesi europei tra cui ora anche il nostro, accompagnato da critiche piuttosto benevole e , in qualche caso, addirittura ditirambiche di cui non so dirmi proprio la ragione.
Procediamo con ordine. Fin dalla primissima inquadratura scopriamo di trovarci a Copenaghen, in una stazione di polizia dove un poliziotto , che capiremo poi essere stato relegato a quel compito per aver commesso in precedenza un misterioso e grave errore professionale, ha l'incarico - insieme ad altri - di rispondere al telefono alle chiamate di emergenza, quasi tutte di banalissima, stanca routine. Fin qui, non uno spunto particolarmente originale ma possiamo accettarlo come semplice e passabile "introibo " .Senonchè il film ha ambizioni maggiori, come capiamo ben presto. Il regista e sceneggiatore Moller ha deciso infatti di non farci minimamente allontanare da quel " set " leggermente claustrofobico, tenendoci praticamente per un'ora e venti fissi sul volto del poliziotto. Il quale è stato raggiunto, nel frattempo, da una strana telefonata di una donna, dalla quale sembra intuirsi che è stato commesso un grave reato che sta per avere un seguito ancora peggiore se nessuno interverrà in tempo per impedirlo. Gli spettatori, oltre a godere, visto che non c'è altro da guardare, dei continui primi piani, di faccia e di profilo, del tutore dell'ordine con cuffia e microfonino e poche altre immagini non tanto più eccitanti, possono anche seguire i dialoghi che si intrecciano tra il poliziotto ( chiamiamolo Arno, per comodità ) ed i suoi interlocutori telefonici : la donna predetta , un uomo che è di questa il marito o il compagno, la bambina che è la loro figlia ed un altro poliziotto che Arno chiama per aiutarlo nell'improvvisata indagine e che , come tutti gli altri, non vedremo mai.
Cosa sarebbe stato necessario per farci digerire- o addirittura assaporare con piacere - una storia con un solo, vero, personaggio e poche voci leggermente metalliche di esseri umani che non si manifesteranno mai in carne ed ossa ? Innanzitutto, una sceneggiatura letteralmente di ferro : compatta ed astuta, ricca di punti di svolta ben calibrati, con un finale magari di assoluta meraviglia per tutti, protagonista e spettatori . Una trama e dei dialoghi assolutamente coesi, senza smagliature, capaci di evocare, rendendolo palpabile, ciò che non vedremo. Una storia simile a certi drammi, i radiodrammi innanzitutto, di un Harold Pinter, per intenderci; con quel senso di minaccia che nasce dai silenzi, dalle pause in un'azione pur avara di colpi di scena, dalla insostenibile assurdità di certe situazioni pur comprensibili e banali . Niente purtroppo di tutto questo ne " Il colpevole ", dove ci viene inflitto invece un "plot" abbastanza scontato e di fronte al quale un normale lettore di " gialli " o un semplice ragazzino che avesse visto qualche poliziesco in televisione capirebbero subito dove si cela la " sorpresa " , o sedicente tale,che ci prepara il buon Moller a metà film, non tralasciando prima di seminare quà e là vari indizi che permettono di intuire in anticipo che cosa bolle in pentola. E poi, per rendere più sopportabile un film che appare stanco e debole nella struttura narrativa, direi che ci sarebbe voluto almeno un grande attore , un interprete carismatico per la difficile parte del poliziotto. Non che Jacob Cedergren ( Arno ) non sia tagliato per la parte, con la sua solidità fisica e lo sguardo di ghiaccio. Ma, insomma, per essere capaci di reggere un intero film sulle sue spalle ci sarebbe voluto ben altro. Non aiuta, infine- diciamolo una volta di più - un doppiaggio italiano che, nella familiare sonorità della lingua " de noantri ", sottrae quell'unico ma non trascurabile piacere che sarebbe derivato al film da voci maggiormente attraenti nel nordico esotismo del loro timbro originale. In definitiva, più che un film , un appena passabile " sceneggiato televisivo " che dura una buona mezzora di troppo.
" A contrario ", come si direbbe in linguaggio curiale, ecco le ragioni per cui ancor oggi può vedersi un film, per altri versi un pò invecchiato, come " L'amante " di Claude Sautet, che data quasi di cinquant'anni fa. Non che anche " Les choses de la vie " ( come recita il titolo originale ) abbia una grande trama : un uomo sulla quarantina avanzata è indeciso tra la moglie e l'amante , entrambi belle e più giovani di lui, finchè alla fine si decide a raggiungere quest'ultima, perendo però miseramente in un banale incidente d'auto. Ma la sceneggiatura, dove ha messo le mani Jean-Loup Dabadie, che diventerà uno dei migliori del mestiere, è perfetta, ben più solida di quella de " Il colpevole " : originale,ingegnosa, ricca di punti di svolta molto indovinati, oliata alla perfezione, sempre al bivio tra commedia e dramma, commozione ed umorismo ( come sono , appunto, " le cose della vita " ). Sautet, lo confermeranno i suoi film successivi, non è un vero autore ma un ottimo artigiano, capace di dare convincente ed accattivante immagine ai tanti personaggi , scontati ma simpatici ed umani, che la fantasia degli sceneggiatori creerà per lui. Aiutato in questo- ed ecco la seconda, capitale differenza con il film del danese Moller - da splendidi attori, capaci di catturare lo spettatore senza che il regista ci metta molto di suo. Michel Piccoli, allora al suo apogeo, rende attraente e comprensibile un personaggio che altrimenti potrebbe apparire incoerente e leggermente antipatico. Romy Schneider ( non più principessina Sissi ma sensuale e sofisticata " amante " del titolo italiano ) nonchè la sontuosa e bravissima Lea Massari ( che dà corpo alla moglie del personaggio interpretato da Piccoli ) rivaleggiano in luminoso splendore fisico, tra gli eleganti appartamenti della parigina " rive droite " ed il bel cielo azzurro della Provenza. Ho visto il film alla Cineteca di Milano, la settimana scorsa, e confesso che ho provato un briciolo di comprensibile mestizia di fronte a tanta bellezza e semplicità di cui oggi, purtroppo, sembriamo troppe volte, al cinema e non solo, aver perso il segreto.
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