sabato 26 ottobre 2019

" L'ETA' GIOVANE " di Jean-Pierre e Luc Dardenne ( Belgio, 2019 )

Sotto il generico titolo datogli dai distributori italiani si cela l'ultimo, magistrale, film dei fratelli Dardenne, quel " Le jeune Ahmed ", presentato in maggio a Cannes e vincitore della " Palma d'oro " per la migliore regia, attraverso il quale essi, almeno come punto di partenza, hanno avuto il coraggio di cimentarsi con quel fondamentalismo islamico che proprio in Belgio, nelle comunità magrebine immigrate, ha trovato non pochi, accesi e sanguinari, proseliti. Sbaglierebbe peraltro chi pensasse ad un film " politico ", volto all'analisi delle motivazioni sottostanti il fenomeno o della genesi di quest'ultimo. Come sempre , nei Dardenne, la realtà, l'elemento storico o sociologico, sono dati per scontati e costituiscono solo l'antefatto o , se si preferisce, la cornice di una indagine - questa sì che ad essi preme-  nel cuore degli uomini e delle donne che abitano le  loro vicende .Qui non è tanto il processo di radicalizzazione del giovanissimo protagonista ad interessare gli autori, o  le modalità del proselitismo (nel film appena adombrate) quanto l'itinerario inverso, quello cioè della redenzione e dell' uscita dal tunnel della rabbia e dell'odio che separa l'adolescente dalla sua stessa comunità e, più in generale , dal resto del genere umano. Che ne fanno , insomma, una sorta di automa prigioniero di circuiti mentali e comportamentali sottratti alle sue stesse emozioni ed una temibile arma di guerra pronta ad aggredire quanti si frappongano al suo percorso di follia e di morte. Per tornare a vivere, cioè ad amare gli altri e quindi la vita, Ahmed dovrà riconquistare il senso della realtà da cui è stato tagliato fuori a causa dell' ideologia che si è impadronita di lui. E lo farà attraverso il dolore e la sofferenza del suo stesso corpo, quel corpo che era il suo scudo protettivo contro l'altro, il diverso, ma anche la  sorda prigione della sua anima e dei suoi sentimenti.

Ciò che trovo ammirevole nel cinema dei Dardenne, giunti qui al loro nono lungometraggio dal 1996, l'anno de " La promessa " che li rivelò alla critica ed al pubblico,  è la loro estrema coerenza nel girare solo quello che vedono affacciandosi alla soglia di casa. La realtà, voglio dire, esclusivamente del loro piccolo territorio, quella Seraing, nella periferia di Liegi, dove sono nati ed hanno  la loro centrale operativa. Un mondo, quello della Vallonia francofona ,che era un tempo l'asse portante dell'economia belga ed oggi è in preda ad una difficile riconversione: multietnica, disagiata ma brulicante di energia e di vita, in fondo tutt'altro che depressa, immagine perfetta della nostra civiltà postindustriale. Ma da qui, poi, Jean-Pierre e Luc Dardenne sanno subito  come  seminare tracce di vita che vanno al di là di quella esperienza tanto circoscritta, arrivando così a significati universali. Senza mai uscire però, e questo è la forza del loro modo di raccontare delle storie e di filmarle, da quella precisa realtà, descritta con precisione e rigore quasi documentaristico . Una realtà evidentemente ben conosciuta ed amata da questa singolare coppia di sceneggiatori e registi, decisi a parlare solo di quanto i loro stessi occhi hanno veramente visto, alla stregua di un Rossellini o di un Pasolini prima maniera (da "Accattone" a "Mamma Roma ") sia pure dilatandone lo spazio concettuale e portandolo a coincidere con quello che, idealmente o  materialmente, circonda ognuno di noi. Ahmed, il ragazzino appena entrato nell'adolescenza, timido come lo sono tutti a quell'età ma reso baldanzoso e aggressivo da una lettura tendenziosa del Corano ispiratagli da un imam locale, metà bottegaio e metà agitatore di giovanili coscienze, è un personaggio che a Seraing o a Flémalle, nella cerchia esterna urbana di Liegi, potremmo facilmente incontrare. Non so altrove. Ma la problematica che si agita nel suo cuore, quel rancore verso la supposta corruzione dei costumi, quel desiderio di difendere i principi della tradizione fino a colpire ed eliminare chiunque vi si opponga, infedele o apostata, soprattutto quell'essere prigioniero di una ideologia tanto più stringente quanto più dura, sono fenomeni, stati d'animo, frammenti di vita reale che  non hanno confini e con i quali tutti potremmo prima o poi trovarci a fare i conti.

" L'età giovane " ha il raro pregio di essere breve, anzi brevissimo (84 minuti, contro le due ore-due ore e mezza di tanti odierni " capolavori "). In letteratura lo definiremmo un racconto lungo, più ancora che un romanzo breve, per la compattezza, la coerenza stilistica, la secchezza della narrazione (non priva peraltro di momenti di intensa anche se pudica drammaticità, si pensi al primo colloquio di Ahmed detenuto con la madre). E' un film, starei per dire,  che non ha solo tenerezza e "pietas" per i suoi personaggi, nessuno dei quali dipinto in modo spregevole- nemmeno l'imam - ma che vuole bene anche agli spettatori facendo loro comprendere chiaramente (mai ambiguo od oscuro) le intenzioni degli autori : qualità non da poco se si pensa ai troppi film che trasmettono solo incertezze, esitazioni nel riconoscere la posizione morale di chi li ha scritti e diretti. Ma il cinema dei fratelli Dardenne,  che non a caso vengono dal documentario e da una significativa esperienza di insegnamento nel " dopo scuola ", a contatto  quindi con i giovani, muove da un forte afflato morale e si propone di educare il pubblico ad una visione del mondo non manichea,  ricca di comprensione e di  amore per l'altro. Ricordo un critico americano che si chiedeva in un suo libro se il cinema " ci può rendere migliori ". Arduo dargli una risposta di carattere generale, che abbracci tutti i tipi di film, belli o brutti, intelligenti o stupidi. Ma un " certo " tipo di cinema  direi che senz'altro ha il magico potere di renderci ottimisti, di riconciliarci con la vita, anche nei suoi aspetti più problematici. Ed è il cinema che altra volta abbiamo definito " maggiorenne " : capace di emozionarci e di farci pensare al tempo stesso, dando ordine al tumulto del nostro cuore. Jean- Pierre e Luc Dardenne, persone buone (lo si capisce al primo sguardo) ed autentici umanisti, infondono nelle loro opere- dunque anche in questa - quella vena di ottimismo , quella possibilità di riscatto dai tanti piccoli e grandi torti della vita, che rende quest'ultima un'esperienza- rovesciando quel che credeva Shakespeare- " da bramarsi devotamente ".



Veilleuz bien trouver ci-dessous un court commentaire en francais :

 Palme d'or pour la mise en scéne au dernier Festival de Cannes, " Le jeune Ahmed " est le dernier né des films des frères Dardenne, Jean- Pierre et Luc, ce couple de cinéastes belges (vous avez bien lu: belges et non pas francais, tellement il portent haut le flambeau de cette vaillante cinématographie !) qui sont aujourd'hui parmi les plus grands au monde. Leur cinéma part toujours d'un terroir bien déterminé (la commune de Seraing, dans la banlieue liégeoise, où ils habitent et travaillent) et s'élargit, au fur et à mésure que leurs histoires progressent et acquièrent une signification plus large, à une véritable dimension universelle, capable de percer la réalité du quotidien,et d'agiter en meme temps les problèmes  qui accompagnent la vie de tous les hommes : la conscience de soi, le rapport avec l'autre, les valeurs moraux, la haine et le pardon.
De meme pour ce film , qui se déroule à partir d'un garcon magrébin issu d'une famille immigrée en Belgique, le Ahmed du titre, fervent musulman, radicalisé par un imam fondamentaliste , pret à agresser, voire à tuer pour " protéger " sa religion et ses prétendues valeurs. Mais le film devient vite l'histoire d'un difficile apprentissage d'un vrai rapport avec les autres etres humains, un itinéraire vers  le développement d'une conscience et vers la libération de tout  schéma idéologique à travers l'apprehension du réel et la souffrance. Quelle belle histoire ! On est ému juste à la raconter, mais il faut voir le film pour admirer la facon dont les Dardenne l'ont rendue tout à fait cinématographique, loin de toute suggestion littéraire, passionante grace à la force et à la justesse de l'élement visuel  (quoique le scénario soit , comme d'habitude, très bien ficelé ) . Une réussite totale et un des plus beaux film de cette année 2019.



Please find here a short commentary in english on this film :

Latest work by the Dardenne brothers (Jean- Pierre et Luc, the talented belgian couple of movie directors, among the greatest of today) " The young Ahmed ", winner of the " Palme d'or " for the best direction at this springtime Cannes Festival, is definitely one of their best.
As usual, the story starts from a precise microcosm, the tiny multiethnic town of Seraing, near Liège, where the two authors live and work, and soon becomes a tale of universal significance : self conscience, interaction with the other, human values, hate and forgiveness. The main character, a moroccan boy from a family immigrated to Belgium and perfectly integrated, is instead a fervent muslim, radicalised by a fundementalist local imam and raised to hate and kill in order to " protect " the so called " purity " of his religion . A reality well known, unfortunately, by several european countries where many criminal episodes  of this kind have recently spread the knowledge of this dangerous problem. But the film is less interested in describing how Ahmed has become a fondamentaist than in accompanying him in a difficult itinerary towards a psychological liberation and apprehension of reality.
A truly moving story, full of sentiment (but not sentimentalist) where the beauty and the force of the theme developed by the Dardenne brothers is perfectly matched by superb visual description of the space and the characters within. Youd could appropriately say that everything is in the cinematic frame, nothing of the author's intentions sounds purely ideological or litterary. A real joy for the eyes if you feel that this, as it is, is true and pure cinematic art.

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