lunedì 25 settembre 2017

" MADAME HYDE " di Serge Bozon ( Francia, 2017 )

E' in corso a Milano- dopo essere stata a Roma-  la consueta rassegna  di film presentati all'ultimo Festival di Venezia, cui si aggiungono talune pellicole provenienti dal Festival di Locarno, sempre di quest'anno.Anche se stavolta mancano purtroppo i titoli più attesi, incluso il Leone d'oro, si tratta sempre di un evento molto seguito dal pubblico degli appassionati. Esso permette infatti di vedere in anteprima opere di un  qualche interesse ma che magari i distributori ( sempre loro... ) immetteranno nel circuito commerciale solo tra qualche tempo. Senza considerare poi  quei film , egualmente buoni se non migliori, che addirittura - se non ci fosse questa occasione -  non vedremmo mai perchè ritenuti, a torto o a ragione,  poco redditizi per una ordinaria programmazione nelle sale.

Il film che ha aperto la rassegna è stato " Madame Hyde ", francese, diretto da Serge Bozon. Il regista non è conosciutissimo internazionalmente ( io non avevo mai visto nulla di suo, prima di oggi ) ma in patria deve pur riscuotere qualche credito, come dimostra il fatto che è il secondo film di seguito che gira con Isabelle Huppert, cioè con un " mostro sacro " del cinema transalpino. Attore e critico cinematografico a tempo perso, oltre che " metteur en scène ", Bozon  potrebbe passare per una personalità poliedrica e quindi abbastanza degna di nota. A giudicare però da questa sua prova lo si dovrebbe , come si diceva una volta per gli scolari,  rinviarlo ad ottobre. Attenderlo cioè ad una prova migliore, che ci convinca pienamente della sua perizia e soprattutto della sua idea di cinema. Fare cinema per me, l'ho detto altre volte, significa esprimere  una visione del cinema stesso e del mondo ben strutturata sul piano estetico ed anche etico, perchè no . E al tempo stesso coinvolgere, emozionare il pubblico. Qui, invece, mi sembra si siano battute altre strade. A cominciare da quella dell'intellettualismo, inteso come tentativo di appellarsi  solo al cervello dello spettatore, costretto a cogliere allusioni, pretese " finezze " di sceneggiatura e di regia, rinvii ed ammiccamenti ad altri film, ad altri contesti. Un gioco, appunto,  tutto intellettuale  e che ci lascia a digiuno rispetto alla nostra abituale fame di storie, situazioni e personaggi che abbiano spessore narrativo e che arrivino a farci provare qualche sensazione forte ed autentica. Se no, ditemi voi, perchè perdere tempo a  scrutare delle ombre che si muovono su di uno schermo ?

Giudicate voi. Una insegnante in un liceo tecnico di una delle tante problematiche "banlieues " francesi, una timida ed apprensiva cinquantenne che risponde al nome di Madame Géquil ( capita  la sottilissima allusione al  probo dottor Jekyll del racconto di Stevenson ? ) ci viene mostrata come vittima prediletta del preside, dei colleghi , degli indisciplinatissimi allievi, perfino di due famelici alani neri  posseduti da  una mastodontica ed inquietante vicina di casa. Insicura, esitante perfino nei confronti del marito, l'unica persona peraltro che dimostri un pò di tenerezza per lei,essa si dedica la sera al suo unico apparente interesse nella vita, cioè alcuni misteriosi esperimenti scientifici, in una baracchetta nel compound della scuola cui solo lei ha diritto di accedere. Uno di questi tentativi con provette ed elettricità va a male, ci sembra di capire, per un improvviso guasto di corrente durante un temporale che  trasmette alla nostra ricercatrice una forte scossa e  la lascia bizzarramente alterata. Ed ecco madame Géquil trasformata, in certe notti di insonnia, in una assertiva ed implacabile Madame Hyde ( sì, proprio come nel " classico " cui lontanamente si ispira questo film ) che percorre l'abitato in una " mise " quanto mai eccentrica, a metà tra il negativo di una fotografia ( il " doppio " della  nostra abituale natura ? ) e una specie di arco voltaico ambulante , con scintille e linguelle di fuoco,  pronto a trasmettere a sua volta  scariche mortali alle malcapitate creature che vengono da lei avvicinate.Vengono così eliminati, gli uni dopo gli altri, i due odiati alani che la terrorizzavano e un insulso " rappeur " nero aduso , con i suoi compari, ad allietare musicalmente- si fa per dire - le pacifiche notti dei laboriosi " banlieusards ". Invece un allievo della nostra Madame Géquil/Hyde,un  adolescente diversamente abile di origine magrebina il quale la tormentava in classe ma era poi da lei apprezzato per il suo inusuale interesse per la fisica ed in particolare l'elettrotecnica, rimane solo fortemente bruciacchiato dal contatto con la inquietante apparizione e si salva . Dopo di che, Madame Géquil, resasi conto dei danni che può arrecare una Madame Hyde così malamente intenzionata, si autodenuncia alla polizia e, per fortuna di tutti, spettatori inclusi, esce di scena ponendo termine all'inquietante giochino.

Intendiamoci. Riscrivere in chiave moderna l'appassionante, tragica vicenda di Jekyll e Hyde o anche soltanto ispirarsi ad essa per tornare ad esplorare il dritto ed il rovescio dell'anima umana, l'inscindibile ma pericolosa coesistenza nella nostra natura del bene e del male, è operazione del tutto legittima e tentata più volte anche al cinema. Ma chi si accinge all'impresa, scrittore, sceneggiatore, regista, deve avere le idee molto chiare e far  capire bene le proprie intenzioni. Qui Bozon  ha invece , a mio personale avviso, ciurlato nel manico ed ingannato il suo pubblico. Partito apparentemente per una scontata satira di costume ( la scuola di Madame Géquil, ricettacolo di tante pratiche demenziali all'insegna del " politically correct " infuso in  un tessuto educativo sempre più slabbrato ) sceglie poi di percorrere i sentieri sdrucciolevoli del fantastico ( l'inquietante trasformazione  della protagonista in Madame Hyde ) senza averne la reale capacità visionaria ed il coraggio di sostenere fino in fondo l'astruseria di un siffatto registro . Esitante tra una possibile e graffiante " cattiveria " della sua  eroina ( resta poi da capire cosa le avessero fatto le sue sfortunate vittime, cani compresi ...) ed il "buonismo"  del tentativo  di quest'ultima volto a  recuperare attraverso l'amore per le scienze l'allievo che inizialmente non la rispettava e guidava quotidianamente l'azione di disturbo delle sue lezioni di fisica, il film dà l'impressione di non sapere in che direzione andare. E si perde quindi in caratterizzazioni quasi macchiettistiche dei personaggi minori. Ecco così il preside vanesio ed ambizioso, l'ispettore scolastico poco perspicace, il marito "modello" preoccupato per una moglie così speciale, l'inquietante e straripante vicina di casa, due allieve in continuo ed odioso rimprovero delle manchevolezze pedagogiche della povera Madame Géquil . Tutti " sottotesti " , diremmo gergalmente, che non aggiungono nulla alla vicenda centrale, anzi la rendono ancora più confusa ed insulsa. Nè critica di costume ( e Dio sa se non ce ne sarebbe bisogno con i tempi che corrono ) nè apologo sulle pieghe nascoste dell'animo umano, questo " Madame Hyde " naufraga inevitabilmente nel bozzettismo dell'ennesimo film sui quartieri periferici ed annessi stabilimenti scolastici di una Francia multietnica, in chiave ora ironica ora scontatamente comica. E tenta, addirittura,  un ardimentoso quanto problematico recupero della assurda storiella virando verso il film horror, il mistero, la dimensione fantastica, senza averne - ripeto - nè le capacità tecniche ( Madame Hyde e il suo cerchio di fuoco , a volte , più che la paura, ci infondono il buonumore che potrebbe darci un ingegnoso travestimento per un party di Halloween ) nè l'afflato ed il respiro morale ed estetico ( la sua Madame Géquil è quasi più scialba ed antipatica delle modeste persone che la circondano e le sue motivazioni restano incomprensibili ).

Anche qui, mi sento di poter dire, il difetto sta nel manico. Cioè nella sceneggiatura , che invece di condividere come le volte precedenti  con la moglie, l'attrice e regista Axelle Ropert, Bozon ha voluto caricarsi interamente sulle sue spalle. Vale il discorso di sempre : cattiva sceneggiatura, cattivo film. La sceneggiatura , a sua volta, deve essere il riflesso di una visione chiara, sufficientemente precisa degli obiettivi estetico-morali che vuole perseguire il film. Quando questa visione non c'è o è debole e confusa - come nel caso di specie- incominciano i guai : si vaga tra più tematiche senza affrontarne veramente nessuna e  non ci si accorge delle inevitabili incongruenze  narrative cui si presta una sceneggiatura raffazzonata e poco professionale ( quelle lunghe ed astruse spiegazioni di fisica della prof Géquil che ci stanno a fare , cosa aggiungono realmente al personaggio ? ) Anche il regista Bozon ( come lo sceneggiatore Bozon ) non riesce a muoversi con sufficiente coerenza in questo guazzabuglio. Alterna inquadrature molto studiate ( le scene notturne della banlieue) ad  immagini da sceneggiato televisivo, sciatte e frettolose ( gli " interni " della scuola e della casa della protagonista ) Una prova, sul piano estetico, puramente anodina, senza vera personalità. Ci sono film tutto sommato  lisci e levigati come un gigantesco cubo di plastica nel quale non si ha voglia di entrare, di visitarlo, di lasciarsi coinvolgere, di interrogarsi su cosa voglia dire chi l'ha ideato. Basta, il cubo sta lì. E tra noi e lui c'è uno spazio che ci separa irrimediabilmente.
Resta da dire dell'interpretazione. Nessuno mi toglie dalla mente che il soggetto sia piaciuto ad una Huppert in cerca di personaggi " estremi " dopo il successo di " Elle ". La sua interpretazione ( premio a Locarno ) è tutta in sottotono nella prima parte ( la timida Madame Géquil ) ed acquista man mano vigore quando subentra la trasformazione in Madame Hyde e la sua vera personalità, forte ed assertiva, finalmente si fa strada . Una buona prova, senza dubbio, ma un tantino sprecata.
 Nel consigliare o meno i film al pubblico dei lettori,  i " Cahiers du Cinéma " classificavano i film dal punto di vista del valore e dell'importanza,oltre che con le classiche stelle, con il ricorso a  delle frasette standard .  La penultima categoria (  diremmo quella corrispondente ad  uno striminzito 18 universitario ) era all'insegna di un lapidario ma possibilista " à la rigueur " : cioè, se proprio vi va , dateci un'occhiata ( e qui, in questo ordine di idee, lo consiglieremmo solo ai patiti della Huppert o ai collezionisti di film su Jekyll e Hyde ) L'ultima categoria  dei Cahiers,  quella più bassa, quella in cui in un soprassalto di malumore sarei tentato di collocare questo film, diceva lapidariamente " inutile de se déranger ", in pratica " non vale la pena di scomodarsi per andarlo a vedere ". Fate voi, a seconda di come vi sentite...





giovedì 7 settembre 2017

" DUNKIRK ", di Christopher Nolan ( Gran Bretagna, USA, 2017 )

Non sono un patito di film di guerra. Come , forse ricorderete,  non amo in generale neanche i film di fantascienza. Sono allergico agli eccessi di violenza, sullo schermo come nella vita. E allora Shakespeare, mi direte, che  nelle sue tragedie di violenza ne ha tanta ? Sì, vabbè, ma è Shakespeare. E poi lì la violenza è funzionale a ciò che egli  intende dirci, al nodo esistenziale che vuole rappresentare. Non è  mai gratuita, insomma, come accade invece in tanti ( troppi ) film d'azione. Larga categoria nella quale ci sono anche capolavori, badate bene: western,polizieschi, film noir, perfino qualche film di guerra vero e proprio. Ma, in questo caso, gli atti violenti sono sublimati dal genio dell'artista che, nella sua particolare sensibilità, sussume , accetta per così dire la brutalità di quei gesti e ce li restituisce purificati da  una rappresentazione filmica che toglie loro ogni quotidiana volgarità . Nei tanti film di guerra che ho visto , soprattutto da ragazzino ( parlo dei novecento cinquanta, anni ancora frastornati dalla recente conflagrazione mondiale e dal rischio di un nuovo scontro tra le grandi potenze ) la violenza da cui erano pervasi - che me li fa oggi rifiutare quasi in blocco -  solo poche volte veniva riscattata dalle intenzioni dell'autore. Intenzioni pacifiste ( " Il nudo e il morto " di Raoul Walsh ) oppure semplicemente umanistiche ( e qui citerei almeno " L'urlo della battaglia"  di Samuel Fuller ). Ma intenzioni comunque che andavano al di là di una mera descrizione, grafica e spesso compiaciuta, di una violenza troppo presente nella natura umana e troppo devastante per essere mostrata senza che ci siano gli anticorpi necessari.

Spinto dal successo mondiale che sta riscuotendo e dal fatto che è diventato ormai un argomento corrente di conversazione e di approfondimento nei media e sul web, sono andato a vedere  "Dunkirk",  arrivato  da qualche giorno sui nostri schermi. Dunkirk, come è noto, è la denominazione inglese di Dunkerque, la località balneare della Francia del Nord , quasi al confine col Belgio, resa celebre  per la rotta subita  dalle truppe inglesi incalzate dai  tedeschi  ed il loro susseguente rocambolesco  rimpatrio tra la fine di maggio e gli inizi di giugno del 1940. Un rovescio militare che sembrava dovesse consegnare l'intera Europa al dilagare dell'avanzata nazista, minacciando la stessa Gran Bretagna. Ma che , grazie all'incredibile " operazione Dynamo " posta in essere per volere di Churchill, salvò ben 300.000 uomini altrimenti destinati alla morte o alla prigionia, permettendo al governo di Londra di riorganizzare le sue forze e di contenere con maggiore ottimismo l'aggressione hitleriana che in quel momento sembrava inarrestabile. Una sconfitta dunque, Dunkerque, ma al tempo stesso una vittoria della capacità organizzativa, del senso del dovere, del coraggio e della tenacia che sono stati sempre la caratteristica del popolo britannico. Proprio partendo da queste "virtù"  ormai poco praticate da una parte e dall'altra della Manica, ci si è domandati- sulla scia del film - quanti , soprattutto tra i giovani di oggi,  riusciranno a comprendere il significato di quell'autentica epopea e a trarne spunto per un'opportuna riflessione sulle qualità d'animo e di ingegno che - confrontati come siamo ancora a possibili sfide geopolitiche- occorre pur continuare a coltivare. E , non senza fondamento, si è sollevato qualche dubbio sul permanere di quella  , diciamo almeno " identità nazionale "  per non parlare di " spirito patriottico ", che consente, nel momento del pericolo, di sublimare il proprio " particulare " confondendolo in un salvifico ed altruistico sforzo collettivo. Grossi interrogativi, come si vede. Sacrosanti, certamente, ma a mio giudizio non sempre giustificati da un'opera che , pur commendevole sul piano delle intenzioni, non mantiene tutte le sue promesse sul terreno prettamente cinematografico.

Dirò prima dei meriti del film, che pur ci sono e sono tanti, inducendomi a consigliarne la visione soprattutto agli appassionati di storia e a quanti amano i film spettacolari ed energici (l'angloamericano Christopher Nolan, talentuoso regista di un paio di " Batman " e del fantascientifico " Inception ",si conferma uno specialista del genere ).In luogo di prendere le mosse da un contesto più ampio, quale avrebbe potuto essere la vittoriosa avanzata delle truppe tedesche sullo scacchiere franco-belga-olandese nella primavera di quell'anno, il film parte proprio , si può dire, dalla spiaggia di Dunkerque. Lì cominciano ad ammassarsi le truppe britanniche in ritirata, nella speranza di riuscire a reimbarcarsi per la madrepatria. Speranza resa ardua dall'unico molo cui possono attraccare le scarse navi disponibili della marina di Sua Maestà, dalle avverse condizioni atmosferiche e dal martellamento costante dell'aviazione nemica. Circostanze che, sul piano cinematografico, ci regalano ottime, concitate sequenze con frequente impiego di inquadrature dall'alto, momenti di buona tensione narrativa ed una  discreta partecipazione emotiva ad una vicenda umana di sicura presa sul pubblico. Il sacrificio collettivo, l'inevitabile smarrimento di tanti poveri  fanti che capiscono di essere ad un passo dalla morte, il coraggio e direi la felice ostinazione dei capi militari che sovraintendono alle operazioni di salvataggio, l'eroismo dei piloti dell' aviazione britannica inviati a contrastare coraggiosamente la preponderanza numerica di quella tedesca, tutto contribuisce a dare compiutamente il senso della drammaticità di quelle giornate. Senza considerare poi lo sforzo davvero sorprendente delle migliaia di privati che dalle coste inglesi -  marinai, pescatori,  appassionati di imbarcazioni da diporto, proprietari anche di piccoli yacht -  si lanciarono coraggiosamente nelle acque  della Manica ( diversi di loro perirono  ) per correre al salvataggio dei loro soldati : salvataggio che , senza quell'audace contributo, difficilmente avrebbe potuto avvenire. Un ' epopea civile , dunque , e non solo militare che il film sottolinea con vigore plastico e la giusta enfasi nazionalistica. Confesso anch'io che, alla " panoramica " di quelle piccole e temerarie imbarcazioni accompagnata dall' orgogliosa risposta a chi gli chiede chi siano ( " è la Patria ! " )  da parte del l'ammiraglio britannico che sul molo di Dunquerque le vede arrivare con soddisfazione , ho avvertito  un brivido attraversarmi la schiena...

Veniamo ora però alle ragioni per cui sostengo che " Dunkirk " non è il capolavoro che alcuni dicono che sia, Nè , aggiungo, una svolta nel modo di girare i film di guerra, una  autentica "rivisitazione " del genere insomma. Manca , innanzitutto, nel film un preciso punto di vista , un angolazione necessaria per farci capire le " ragioni " non solo politiche o  civili ( l'elemento celebrativo, abbiamo visto, quello è chiaro ) ma anche e soprattutto estetiche di questa impresa cinematografica. Non giova qui al film la scelta di ricorrere, nello sviluppo narrativo,  a tre tasselli separati :  la vicenda di due soldati che cercano disperatamente di imbarcarsi, l'odissea di uno yacht lanciato verso le coste della Francia, il combattimento aereo con la Luftwaffe di un eroico pilota della RAF sul cielo di Dunkerque. Tre momenti di quelle confuse giornate che , in luogo di comporre una visione unitaria della realtà pur partendo da  situazioni diverse  (terra, mare , cielo ) restano  tre frammenti separati. Ciascuno , come si è visto, con gli innegabili meriti di una resa spettacolare ed a tratti emotivamente coinvolgente  ma senza riuscire a fondersi in unica, potente e convinta rappresentazione artistica. Le tre narrazioni si inseguono, si intersecano, si sovrappongono una sull'altra (  talvolta con qualche difficoltà per lo spettatore a seguirne il filo conduttore ) senza che emerga in maniera convincente un punto di vista personale , chiaro e limpido, da parte di Nolan ( regista e sceneggiatore unico ). Manca , insomma , l'elemento unificante che c'è , invece , in altri film egualmente composti da frammenti narrativi . Penso, per restare nei film di guerra , a " I giovani leoni " di Edward Dymytrick o al celebre " Il giorno più lungo " sullo sbarco in Normandia. Ma potrei citare soprattutto " La dolce vita ", dove l'elemento unificante del mosaico di episodi che lo compongono è costituito dal personaggio di Mastroianni, il cui sguardo pieno di disillusione e di umana " pietas " è il punto di vista estetico  ed etico dello stesso Fellini. Qui invece, ripeto, non si capisce bene quale sia la posizione del regista-sceneggiatore ( orrore per la violenza, pietà per le vittime, esaltazione del coraggio ? ). C'è un pò tutto, ma manca la sintesi, la " morale ", la "ragion d'essere " dell'opera,  chiamatela come volete. Abbiamo un bell'affresco, capiamo anche quale sia stata la committenza, ma l'artista si è eclissato, pago dei bei colori e delle belle forme stese sulla parete,  senza che di lui rimanga una pennellata decisa, un volto , un profilo, qualcosa di personale, che ci permetta di individuarne meglio le intenzioni.

Non mi sembra , infine , che " Dunkirk " innovi cosi' profondamente in un settore già tanto "visitato". Le regole del genere mi sembrano sostanzialmente rispettate ( anche la narrazione per blocchi narrativi separati , come si è visto , non è una novità ). Il coraggio, la paura, la lotta per la sopravvivenza , la morte che aleggia implacabile. Sono tutti motivi che abbiamo visto innumerevoli volte. Nè qui mi pare di scorgere alcuno sguardo autenticamente nuovo, tale da far gridare alla rivoluzione dei tradizionali canoni espressivi. In definitiva , si tratta di un film onesto, solido nella raffigurazione quanto claudicante nella parte narrativa. Ancora una volta un buon regista ( Nolan ) si è rivolto ad uno sceneggiatore maldestro ( sè stesso ) nell'errato convincimento di poter fare a meno di un più abile professionista del ramo. Il voler essere " autore " del film a parte intera ( come Chaplin o Welles... ) gli ha fatto dimenticare che anche registi altrettanto grandi di questi ultimi ( Renoir, De Sica , Fellini ) pur padroni di una ben precisa idea di partenza si sono fatti sempre coadiuvare, per svilupparla, da fior di sceneggiatori e dialoghisti. 
Due ultime annotazioni. La recitazione è discreta ( purtroppo la copia in versione originale ancora non circola a Milano ) ma manca qualcuno che spicchi veramente, da Kenneth Branagh ( l'ammiraglio ) a Tom Hardy  ( il pilota della RAF ). La fotografia è corretta ma non memorabile ( di mari in tempesta se ne sono visti di migliori, perfino nello sciagurato " Ma loute " della scorsa stagione ).
Un demerito ed un merito particolari, infine. Lungo tutto lo svolgimento del film ( 110 minuti circa ) non cessa un istante - così almeno mi è sembrato - una colonna sonora musicale roboante e fastidiosa, niente affatto in linea con un film di guerra che, per esprimere tensione ed orrore,basterebbe che riproducesse i soli rumori che si odono su un campo di battaglia : il crepitio delle armi leggere, il fragore dell'artiglieria, lo spaventoso boato delle bombe , i lamenti dei feriti.
Pregio invece davvero non da poco- e qui effettivamente una innovazione c'è rispetto ai film di guerra degli ultimi trent'anni- è il partito preso di non far vedere le ferite, il sangue , gli arti sezionati o divelti, le interiora fuoriuscite delle vittime della violenza bellica. Spettacolo disgustoso cui, in un'orgia di malcelato voyeurismo, ci eravamo assuefatti e che ha sempre costituito il tratto più nefasto di opere a volte , per altri versi, non disprezzabili. I defunti e i feriti non hanno bisogno di essere " spettacolarizzati ". E tutti ci immaginiamo facilmente le loro sofferenze, senza che si vada , in definitiva, a mancar loro di rispetto. Se questa è l' " innovazione " recata dal film,  che sia dunque benvenuta.